ROBERTO CHESSA
Roberto Chessa (1978) vede nella pittura una sperimentazione continua attraverso l’elaborazione di forme geometriche inaspettate, frutto della fusione tra mente e mano che lo rendono facilmente riconoscibile.
I suoi lavori diventano, nella maggior parte dei casi, iconici. “Considero le mie geometrie intuitive – dice l’artista – sperimento tanto, ultimamente realizzo linee che ricordano la natura, sotto certi versi anche selvaggia. È inconscio”.
Figure taglienti paiono proseguire come sentieri senza meta precisa, ricchi di insidie, tra gli alti e i bassi del percorso umano; una realtà troppo difficile da accettare. “Non progetto, agisco direttamente su tela in piena libertà, non mi impongo nessuna condizione se non quella di liberare la pittura”.
Le opere selezionate dall’artista e da Chiara Manca per l’Unfair di Milano (dal 3 al 5 marzo) spaziano dal classico alla novità. I colori accesi delle opere più conosciute contrastano con quelli scuri della neonata serie “Selva selvaggia”. Durante il suo percorso artistico, Chessa, ha creato solide basi, radici, che si sono via via articolate in cerca di nuove sfide estendendosi dal delicato celeste all’elegante nero. È così che nel 2023 Selva selvaggia fa conoscere un nuovo aspetto di Chessa, una serie che iniziava con alcune opere precedenti dal titolo “Realtà aumentata” e che quest’anno si muove ulteriormente mostrandoci sfumature incantevoli e linee dinamiche pur restando ancorate su tela. Roberto Chessa dà origine a nuovi mondi “L’uso delle geometrie si concretizza nella rappresentazione simbolica dell’evoluzione tecnologica della società come arricchimento della percezione sensoriale – dice – Tale visione così avanzata si trasforma in ambienti cupi e privi di sicurezza”, da qui il nero. E prosegue “La nostra società si sviluppa attraverso i sensori che condizionano la vita. Le spine, pertanto, sono l’elemento simbolico dell’adeguarsi a un futuro dove tutto viene rivelato in un istante”.
Racchiude in pochi centimetri di carta l’attualità, tenendo fede alla sua arte e lasciandosi trasportare da essa “Selva selvaggia riprende, nella sua forma simbolica, la celebre frase dell’Inferno dantesco “… esta selva selvaggia”, la foresta come allegoria del peccato. Per me è una condizione del mondo contemporaneo, fatto di contrapposizioni, incertezza, pandemia, guerre, instabilità. L’oscuro presagio di un futuro impalpabile”. Il nero, appunto, non è casuale “Rimanda alla capacità di questo colore di nascondere tutto oltre la porta del visibile”.
È proprio questa peculiarità a renderlo accattivante, il nero attira.
Roberto Chessa mette in risalto lo scuro con colori seducenti che si posano come un velo sopra l’oscurità restituendo una luce per troppo tempo abbandonata dall’umanità. Foreste come labirinti, simili a quei luoghi che definiamo casa ma che ci fanno sentire inadatti.
Una rappresentazione della contemporaneità complessa, naturale e sincera. Chessa dipinge senza filtri, restituendo una documentazione di ciò che non si è abituati a vedere.
Giovanna Pittalis
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